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'Mikhail Roginsky. Beyond the Red door' a Ca'Foscari
10.06.2014

'Mikhail Roginsky. Beyond the Red door' a Ca'Foscari
Al primo sguardo le opere pittoriche di Mikhail Roginsky si presentano come figurative. Siamo lontani però dal realismo socialista gradito al regime e puntualmente rispettato dagli artisti cortigiani desiderosi di accapararsi commissioni statali.

Al primo sguardo le opere pittoriche di Mikhail Roginsky si presentano come figurative. Siamo lontani però dal realismo socialista gradito al regime e puntualmente rispettato dagli artisti cortigiani desiderosi di accapararsi commissioni statali. I capi sovietici dell’epoca (inizia la sua attività agli inizi degli anni 60) rifuggivano dagli sperimentalismi, non capivano come proprio quegli "ismi" stavano modificando nel profondo il modo di dipingere e la struttura formale delle opere. Roginsky svolse quindi il suo compito di insegnante nella scuola d’arte n.1 sulla via Kropinskaja a Mosca nel solco della tradizione e, sia in questo ambito che nella sua attività didattica presso l’Università Popolare per corrispondenza "N. K. Krupskaja (ZNUI)"di Mosca, non apportò alcuna novità significativa.

La sua pittura si altera nell’impatto con i problemi sociali dei quali solo artisti sognatori tutti assorti nell’obiettivo di piegare la realtà visibile alla loro visione interiore, come ad esempio il pittore bolognese Morandi, potevano disinteressarsi. Le sue prime bottiglie di plastica dell’acqua, schiacciate in una bidimensionalità inesistente in natura, si traducono così in una pura esaltazione della forma, ignorando la realtà della materia. Le sue figure sono come piani tozzi e squadrati, le donne perdono ogni dolcezza, ogni sinuosità, ogni fascino. In tal modo finisce con il disprezzarle, ignorandone la giovinezza. I suoi colori prediletti: il blu slavato, il marrone opaco, il giallo smorto rinunciano ad ogni brillantezza diventando simboli un po’ nefasti di sconfitta e rassegnazione.

In certi suoi oli come in Elle est contente del 1985 una ironia dolorosa viene sottolineata con la scritta inneggiante alla felicità, tragica icona dei vili cartelli appesi al collo dei condannati all’impiccagione cui, per lunga tradizione, i regimi dittatoriali non sanno rinunciare. Questa serie di quadri sono opere della maturità dell’artista (1978- 2003), anni in cui Mikhail Roginsky visse a Parigi. La mostra veneziana avrebbe potuto avere come sottotitolo "La porta rossa" per la complessità dei significati simbolici che da essa derivano. "Porta" come passaggio, come simbolo da rispettare e attraversare se lo si vuole liberare dai vincoli, per quanto sottili, che lo collegavano alla tradizione e al diktat del potere.

Si manifesta con lui quella tendenza dell’arte che tende a rinnegare se stessa, tendenza che raggiunge il suo apice con il quadro dalla superficie completamente nera di Malevic e con lo destrutturalismo di Burri e Fontana. Si suggerisce di seguire il consiglio dei curatori di escludere definizioni precise per inquadrarlo in predeterminate correnti o gruppi, al fine di cogliere in pieno il complesso iter evolutivo dell’artista, il suo percorso creativo. Le nature morte, già semi astratte, superano del tutto la figuratività, aboliscono il disegno sottostante ed è un pennello colmo e gocciolante a tracciare segni grossolani, gomitoli aggrovigliati come anime insoddisfatte. Roginsky ispirato dalla memoria e dall’immaginazione trova la sua forza ispiratrice e la esprime con segni che lo caratterizzano e lo fanno emergere dalla schiera dei numerosi sperimentatori.